Testo dall’articolo pubblicato su La Repubblica, 19/02/2023, di Elisabetta Berti
Con la soprintendente Antonella Ranaldi e il funzionario restauratore Alberto Felici siamo entrati nella Chiesa di S.Maria del Carmine dove i lavori svelano nuove storie. I ponteggi resteranno ancora un anno
Chiesa di Santa Maria del Carmine, autunno del 1424. L’anno volge al termine e i potenti Brancacci affidano la decorazione della cappella di famiglia ad una strana coppia di artisti formata da un pittore già affermato e raffinato come Masolino da Panicale e un giovanissimo Masaccio. Sarà la rivoluzione. Il loro lavoro gomito a gomito dette corpo a un passaggio di consegne epocale, seminale per il Rinascimento e al cospetto del quale si sono formati generazioni di artisti. Quasi seicento anni dopo, la Cappella Brancacci continua a parlarci. Lo fanno, del resto, tutte le opere d’arte, che non sono mai capitoli chiusi, bensì serbatoi di nuove informazioni che la tecnologia in aggiornamento ci permette di rintracciare. E quello che oggi ci dice il celebre ciclo con le “Storie di San Pietro”, attualmente oggetto di un intervento di restauro “a vista” visitabile dal pubblico, è qualcosa che finora abbiamo solo intuito: queste tre pareti nel transetto destro della chiesa d’Oltrarno sono state un formidabile cantiere di sperimentazione, non solo stilistica e formale, ma anche tecnica. Erano audaci Masolino e Masaccio, precisi fino al maniacale nella resa prospettica delle scene, ma inventori di soluzioni tecniche ancora da decifrare e al centro delle indagini degli studiosi. Un pool dispecialisti tra i migliori che l’Italia esprime nel campo del restauro, che lavorano al progetto di Comune di Firenze, Cnr, Opificio delle pietre dure e Università di Firenze, “con il coordinamento della Soprintendenza e nell’ottica di un approccio interdisciplinare che porti a una conoscenza sempre più approfondita dell’opera e del suo stato di salute” dice la soprintendente Antonella Ranaldi, “la conservazione ci richiede di rimanere vigili, per essere sempre meno invasivi”. L’intervento è finanziato da Friends of Florence e in parte dalle visite del pubblico che, su prenotazione, può accedere al cantiere ed “ammirare gli affreschi dalla stessa posizione in cui si trovavano Masolino e Masaccio”. I lavori si protrarranno più a lungo del previsto, probabilmente un altro anno. Alberto Felici, funzionario restauratore della Soprintendenza, spiega che “l’intervento è stato programmato dopo che erano stati osservati fenomeni di distacco non emersi nell’ultimo restauro degli anni Ottanta”. Il problema deriva dalla struttura muraria su cui vennero realizzati gli affreschi, che è frutto di sovrapposizioni ed è assai complessa, e continua ad assestarsi nel tempo. “Ad oggi non ci sono grossi problemi statici, ma dobbiamo continuare a monitorare”. Qui corrono in aiuto tecnologie all’avanguardia come il laser speckle, che può essere puntato anche da terra (quindi anche quando i ponteggi saranno smontati) e registrando le minime vibrazioni dell’intonaco può dirci quanto sono pronunciati i distacchi. “Dopo una prima stabilizzazione, stiamo analizzando la malta “autogena” usata nei restauri di quarant’anni fa” continua Felici. “Dobbiamo comprendere la sua compatibilità fisico-meccanica”. Come si comporterà in futuro, insomma. Parallelamente sono emersi nuovi dettagli nelle scene, particolari fino a oggi non visibili al vaglio della comprensione tecnica, e le indagini sull’esecuzione degli affreschi stanno riservando grandi sorprese. “Abbiamo trovato pigmenti che nell’affresco non si possono usare. Ad esempio nella veste verde damascata di uno dei nobili della scena della “Guarigione dello storpio” che in teoria si sarebbe dovuta annerire. Ma non è successo. Oppure nella figura di Eva nella “Cacciata dall’Eden”, dove le lumeggiature sono rese con la biacca a base di piombo, incompatibili con l’affresco. Forse i pittori trattarono l’intonaco o il pigmento in un modo che è per noi ancora sconosciuto”. Segreti delmestiere che parlano di una grande padronanza del mezzo e di uno sperimentalismo tecnico da maestri. E come se l’innovazione artistica fosse il genius loci, secoli dopo l’equipe capeggiata da Umberto Baldini negli anni Ottanta sperimentò un’idea nuova di integrazione delle porzioni lacunose. È la soprintendente a indicare dove guardare. “Dalla prospettiva dove lavorarono gli artisti seicento anni fa possiamo apprezzare più da vicino l’intervento di restauro, e vedere quello che a distanza non si riesce a distinguere. Quarant’anni fa qui venne superata l’idea del colore neutro per riempire le parti mancanti, ma fu fatta una media dei coloriprevalenti e si riempirono le lacune con un tratteggio. È un modo di dare importanza alla percezione dell’occhio del visitatore”. E il pubblico e la divulgazione è un altro dei temi portanti dell’attuale progetto sulla Cappella Brancacci, conclude Ranaldi. “È una rivoluzione quella che si compì qui. Trovandosi alla stessa altezza delle figure siamo immersi dentro questa storia, non a caso ambientata a Firenze. Cantieri aperti come questo aggiungono allo scopo conservativo del restauro una straordinaria occasione di conoscenza per il pubblico. E vorrei che fosse così sempre più spesso”.